Di cosa parliamo
- Ovvero: chi si occupa di SEO ha il compito di educare gli utenti all’uso di un linguaggio più inclusivo oppure, in alcuni casi, la distinzione fra generi aiuta a elaborare una strategia di posizionamento SEO più sofisticata?
- Qualche dato su volumi e intenti di ricerca per alcune specializzazioni mediche
- L’inclusività non è un estremismo e il modo in cui gli utenti interrogano i motori di ricerca discrimina sia il sesso femminile sia il sesso maschile.
- Abbiamo proprio bisogno di specificare al motore di ricerca che stiamo ricercando una figura specializzata in ostetricia di sesso maschile? Al momento, pare di sì.
- Queste osservazioni mi hanno portata a chiedermi se è più giusto che chi si occupa di SEO utilizzi sempre un linguaggio inclusivo privo di distinzioni fra generi, oppure se chi fa SEO debba guidare gli utenti verso l’uso di query iper specifiche, aiutando così l’algoritmo ad auto-apprendere l’inclusività.
- Letture consigliate
Ovvero: chi si occupa di SEO ha il compito di educare gli utenti all’uso di un linguaggio più inclusivo oppure, in alcuni casi, la distinzione fra generi aiuta a elaborare una strategia di posizionamento SEO più sofisticata?
Da qualche mese per l’Agenzia SEO Quindo mi occupo dell’ottimizzazione dei contenuti di un portale di telemedicina e sin dalle prime fasi del progetto è sorta una diatriba tra la me ventenne, studentessa di Linguistica, e la me 30icsenne, Consulente SEO: il dilemma del ginecologo e dell’ostetrica.
Il dilemma deriva dall’osservazione di intenti e volumi di ricerca relativi a parole chiave riferite ad alcune figure mediche. Quel che è venuto fuori è che alcuni strumenti di keywords research accorpano i dati relativi alle ricerche di un termine sia al maschile sia al femminile, temo a discapito della comprensione del contesto, dei bisogni e delle intenzioni degli utenti. Tutti elementi fondamentali da considerare quando si lavora su SEO copywriting e Creazione Contenuti per siti web.
Qualche dato su volumi e intenti di ricerca per alcune specializzazioni mediche
A inizio 2021, stavo lavorando sulla keywords research per questo portale di telemedicina utilizzando uno strumento di analisi delle parole chiave noto. Per la branca medica “Ginecologia” il tool riportava 27k ricerche / mese per un “ginecologo” (al maschile) e in questo dato era inclusa anche la ricerca del termine al femminile. Lo strumento però non riportava dati esatti sulla ricerca del termine declinato esclusivamente al femminile, “ginecologa”.
Apparentemente sembrava che il tool non distinguesse il maschile dal femminile e probabilmente questo accade perché alcuni strumenti per fare ricerca di parole chiave si stanno adeguando all’intelligenza artificiale di Google, sempre più sofisticata e in grado di leggere il contesto d’uso delle parole. Tuttavia, dati così omogenei sono poco utili per chi fa SEO perché non consentono di cogliere le sfumature di significato.
Ho replicato la ricerca con un altro strumento di keywords research che invece questa distinzione la faceva. Il tool riportava 8.000 ricerche / mese per il termine “ginecologo” al maschile e 2.000 ricerche / mese per il termine “ginecologa” al femminile.
Grazie a questo strumento è stato più semplice analizzare e comprendere bisogni, ansie, paure, e aspettative degli utenti.
Per esempio, chi cerca una ginecologa e ha bisogno di specificarlo quando effettua una ricerca su Google, sta portando con sé un messaggio implicito: il bisogno di riconoscersi in una persona dello stesso sesso, potenzialmente più incline a condividere un vissuto fisiologico esclusivo di quel sesso, oppure la vergogna nel doversi esporre di fronte a uno specialista del sesso opposto, per ragioni private o culturali
Nel lavoro di un’agenzia SEO, comprendere i bisogni dell’utente, specie quelli non evidenti o noti, è fondamentale per fare una keyword research efficace. Accedere ai dati separati ci aiuterebbe a elaborare una strategia di posizionamento più sofisticata e a raggiungere cluster di utenti caratterizzati da bisogni iper specifici.
L’inclusività non è un estremismo e il modo in cui gli utenti interrogano i motori di ricerca discrimina sia il sesso femminile sia il sesso maschile.
Una situazione diversa ma altrettanto interessante mi si è presentata con la ricerca dello o della specialista in Ostetricia dove i dati ci dicono che “ostetrico”, al maschile, conta circa 300 ricerche / mese mentre “ostetrica”, al femminile, 14k ricerche mese. Questione semantica, mi sono detta: il termine “ostetrico”, infatti, è interpretato come aggettivo (riferito al regolo ostetrico, per esempio), mentre il termine “ostetrica” è riferito alla professionista, donna, specializzata in Ostetricia.
Tuttavia, per chi stentasse a crederlo, l’ostetrico (maschietto) è anche il termine con cui ci rivolgiamo al professionista in Ostetricia di sesso maschile. Questa figura medica però è talmente rara che anche Treccani pone l’accento prima sul suo uso clinico (accezione n. 1) e poi su quello riferito al professionista (accezione n. 2).
Tendenzialmente, mi sono detta, gli utenti ricercano un’ostetrica donna probabilmente perché “da sempre”, nell’immaginario comune, la figura di chi si occupa di far nascere la prole è identificata in una figura femminile, la levatrice d’altri tempi. Eppure, una piccola fetta di utenti ricerca anche l’ostetrico al maschile, trovandosi di fronte all’incredulità dell’algoritmo che come prima suggestion offre “ostetrico uomo”.
Abbiamo proprio bisogno di specificare al motore di ricerca che stiamo ricercando una figura specializzata in ostetricia di sesso maschile? Al momento, pare di sì.
Come ci dicono gli stessi risultati in SERP infatti, la ricerca per “ostetrico” è di tipo informazionale, non commerciale. L’utente che digita questa query o la query “ostetrico uomo” non sta cercando un professionista a cui chiedere una consulenza ma sta cercando informazioni sull’esistenza di professionisti nel campo dell’Ostetricia che siano di sesso maschile. Le SERP restituiscono articoli giornalistici, reportage e inchieste su quanto rara sia questa figura professionale.
Il nostro utente tipo potrebbe essere un neodiplomato che vorrebbe avvicinarsi alla professione ma non sa se questa sia una specializzazione medica aperta anche al sesso maschile. Utilizzare questa parola chiave in un portale di telemedicina sarebbe poco pertinente e non utile dal punto di vista commerciale. Ecco quindi perché la declinazione al maschile o al femminile di un termine può fare la differenza nella SEO.
Queste osservazioni mi hanno portata a chiedermi se è più giusto che chi si occupa di SEO utilizzi sempre un linguaggio inclusivo privo di distinzioni fra generi, oppure se chi fa SEO debba guidare gli utenti verso l’uso di query iper specifiche, aiutando così l’algoritmo ad auto-apprendere l’inclusività.
Questa è la risposta che dà Google nell’hero della sua pagina Chi siamo. L’algoritmo di Google è intelligente perché apprende dall’uso. Più una parola viene ricercata dagli utenti più possibilità ci sono che Google la assimili in modo “corretto” e fornisca risultati pertinenti. Dove “corretto” è sinonimo di “frequentemente utilizzato dagli utenti” e, aggiungerei, di “contestualizzato”.
Quindi, se l’algoritmo è già un passo più in là rispetto ad alcuni strumenti di keywords research, cioè è in grado di restituire risultati pertinenti in base al genere espresso nella query, allora chi fa SEO ha il compito di contribuire al cambiamento creando contenuti che rispondano alle reali necessità degli utenti guidandoli al contempo verso forme linguistiche sempre più inclusive che non pongano l’accetto sulla differenza di genere ma sui bisogni espressi dalle query.